Manifesto.
In occasione della mostra personale di Giovanni Bruzzi “Omaggio al Fumetto” alla “Galleria L’Indiano” di Firenze, si è tenuto un dibattito sul tema “Arte e Fumetto”, da sinistra, Lamberto Pignotti, operatore visivo, Giovanni Bruzzi (in piedi), Fernando Tempesti, critico d’arte, Gaetano Strazzulla, storico del fumetto e presentatore in catalogo (16 dicembre 1976).
 Manifesto.
Manifesto.
Manifesto.
OMAGGIO AL FUMETTO
Questa mostra, con cui Giovanni Bruzzi rompe in non leggera
misura coi suoi stili e il pur vario e inquieto passato, è stata
battezzata, secondo la volontà dell'autore, "Omaggio al
fumetto", e c'è nel titolo abbastanza vago e fin troppo
ufficiale all'apparenza, già un indizio e un suggerimento di
lettura. Perchè Bruzzi spezza coscientemente una ben consolidata
tradizione che partendo dall'ormai canonico Lichtenstein usa il
fumetto come fonte d'ispirazione, da stravolgere e interpretare
come specchio dei molti vizi della grande società. Bruzzi invece
non dipinge alla "maniera di", non ingrandisce
particolari esemplari, non deforma secondo estro e simpatia: qui
i fumetti sono rispettati come "materia" prelevata da
una particolare realtà, e ripresentata in quanto tale; limitando
gli interventi dell'autore a un minimo rigorosamente necessario.
Il presentatore, anche se profano e assolutamente non addetto a
simili lavori, dovendo trovare dei modelli classici per questo
tipo di operazione, scarta il sempre citato Lichtenstein, per
tentare semmai altri nomi classici, Cage per la sua musica
rinforzata dal recupero del "rumore", Rauschenberg per
le più attinenti arti figurative coi celebri oggetti reperto,
cartoni scatole vecchie biciclette, che scandalizzano i
visitatori benpensanti smarriti davanti all'immaginifico bric à
brac, ma non critici esperti che li classificano nella
"linea sintetica dell'arte contemporanea". Così,
aldilà di ogni scala di valore, è certo probabile che i fumetti
"rincollati" di Bruzzi provochino scandalo e moderato
raccapriccio in chi era abituato ad altre pitture. Ma andrà pur
considerato che i vecchi giornalini diventano nella sua
elaborazione "campo" e "spazio" su cui è
possibile costruire e fantasticare. Le correzioni agli originali
sono lievi e mai devianti. Le diverse piramidi delle immagini,
annegate sui pallidi legni ambiguamente colorati, formano uno
stravagante campionario, a tempo stesso pubblico e privato, in
trentotto tavole in un certo senso "anastatiche",
perchè mai imbrattate e sfigurate, tutte idealmente saldate in
una dimensione neutra, aldiqua dell'"estetica" e della
"storia". Perchè Bruzzi, ci mancherebbe, non fa e
tanto meno vuol fare, un viaggio critico e totale dentro agli
antichi giornali; la scelta dell'oggetto, "pubblico"
per definizione, è contrastata da una sorta di desiderio di
segreta confessione attraverso indicazioni private e predilezioni
particolari. In tale prospettiva l'ossessione dell'"albo
numero uno", che è la costante esterna che lega tutti gli
esemplari in mostra, non è un capriccio da filologo pignolo, ma
la conferma di una ostinata voglia di fuga dalla degradazione del
quotidiano. Accanto alla fedeltà al "numero uno"
l'altra costante esteriore è data dall'"albo" (giammai
il pittore inserisce i settimanali a puntate in lunghi periodi
assai in voga): anche in questo ovviamente è guidato da un
ricordo e da un amore personale, improvvisamente liberato dopo
silenzioso oblio in una galleria non mummificata, tanti anni dopo
la prima conquista. Secondo una regia ideale i fumetti inalterati
vengono disposti e presentati nella loro piena completezza
formale. L'elenco dei personaggi parte non casualmente dai
magnifici eroi del decennio trenta, ennesima dichiarazione degli
intenti anche autobiografici del pittore, che recupera memorie
sommerse partendo dal carissimo Topolino, per continuare con
Radio Pattuglia, Jim della Giungla, i giovani Cino e Franco
davanti alla misteriosissima fiamma della regina Loana, e via
continuando di "classico" in "classico".
L'amore che guida Bruzzi nella appassionata rivisitazione lo
spinge come si è detto al rispetto dei segni dei tratti
fondamentali, ma non gli vieta la scomposizione della grammatica
dell'inquadratura e della vignetta, smontate e riformate in ogni
tavola, secondo giochi ed incastri variabili in asimmetriche e
poco ortodosse figurazioni geometriche. La copertina dell'albo,
sempre esposta a fianco dei fumetti interni originali, per la
maggior parte americani, funziona non come ornamentale
completamento del quadro ma come detonatore stilistico, chè il
raffronto fra le opposte mani (l'autore straniero e il "copertinista
italiano" sia Giove Toppi o Scudellari, Fantoni o
Albertarelli) costituisce inevitabilmente un momento di frattura.
Ma non si può neppure escludere che l'accoppiamento poco
giudizioso copertina-vignetta, sia ancora suggerito da
motivazioni sentimentali, eredità di una memoria infantile, che
avvolgeva in un'unica nostalgia l'intero albo, senza
differenziazioni di mani e matite. Il fumetto invero rischia
così di diventare un feticcio, e Bruzzi accetta la sfida
pericolosa avventurandosi nel mare degli idoli. Il suo itinerario
è costellato soltanto da sacre divinità, pochi personaggi
"minori" (il Faust di Chiletto, Gioietta Portafortuna)
sono ammessi. Esplorando il passato più prossimo il pittore
continua a privilegiare figure di clamorosa popolarità, con una
accentuata predilezione per il "nuovo nero" (Diabolik,
Kriminal, Satanik, Alan Ford). Ma anche in questo caso si tratta
di un'indicazione privata, niente affatto critica. Semmai i
fumetti ripresentati da Bruzzi fanno venire in mente una frase di
Bataille: "E' chiaro che il mondo è puramente parodico,
ossia che ogni cosa che si guarda è la parodia di un'altra,
ossia la stessa cosa in forma deludente". Così nelle tavole
di Bruzzi, "l'omaggio", si fonde misteriosamente alla
"parodia", intesa come rappresentazione di una realtà
fin dall'origine lontano dal "vero assoluto", e via via
snaturata con tappe e slittamenti progressivi. In altre parole
l'impressione è che Bruzzi abbia lasciato le maniere pittoriche
tradizionali, per abbandonarsi a un periplo singolare nel mare
dei fumetti, preoccupandosi di issare a bordo tutto quello che
gli sembrava capace di suscitare diletto o altra emozione.
Affascinato da quella che Eco chiamò una volta la
"Koinè" ovvero il codice comune del fumetto, il
pittore non l'ha subito passivamente ma l'ha smontato usando i
suoi strumenti abituali, che sono assai diversi da quelli dei
semiologhi della comunicazione; e per primo ha dunque iniziato un
ciclo di doppiaggio che potrebbe non avere mai fine.
Claudio Carabba
(Presentazione mostre personali: "Galleria
L'Indiano", Firenze 1976; "Centro Ipotesi 70", 2°
Convegno Nazionale del Fumetto e della Fantascienza, Prato 1979)
 Omaggio al fumetto n° 4 (1975, cm. 60x80, olio e collage su tavola).
Omaggio al fumetto n°10 (1976, cm. 60x80, olio e collage su tavola).
 Omaggio al fumetto n° 21 (1974, cm. 60x80, olio e collage su tavola).
Omaggio al fumetto n°30 (1974, cm. 60x80, olio e collage su tavola).
 Omaggio al fumetto n° 32, (1976, cm. 60x80, olio e collage su tavola).
 Omaggio al fumetto n° 35 (1975, cm. 60x80, olio e collage su tavola).
 Copertina della rivista “Eco d’Arte” con Omaggio al fumetto n° 3.
 Da sinistra, Mario Bussagli, Gigi Bailo, Enrico Crispolti e Giovanni Lazzari parlano sulla mostra "Omaggio al fumetto" di Giovanni Bruzzi alla "Galleria Kama Studio" di Roma nel 1977.
In occasione della mostra personale “Omaggio al Fumetto” di giovanni Bruzzi alla “Galleria Kama Studio” di Roma, si è tenuta una tavola rotonda sul tema “Il fumetto: problema semantico e/o soluzione estetica”, da sinistra Ermanno Leinardi, operatore visivo, Mario Bussagli, docente di storia contemporanea, Gigi Bailo, storico dell’arte, Enrico Crispolti, docente di storia dell’arte e critico d’arte (16 giugno 1977).
Cartella Omaggio al Fumetto Nero (cm. 50x70), contenente due serigrafie originali, Diabolik-Omaggio al fumetto n° 34 e Satanik-Omaggio al fumetto n° 36, con testo di Gaetano Strazzulla, Edizioni Ipotesi 70, Prato 1979.
Diabolik (1979,serigrafia 8 colori, cm. 50X67, tiratura 120).
Satanik (1979,serigrafia 7 colori,cm. 50X67, tiratura 120).
In occasione della mostra personale “Omaggio al Fumetto” di Giovanni Bruzzi al “Centro Ipotesi 70” di Prato, nell’ambito del “2° Convegno Nazionale del Fumetto e della Fantascienza”, si è tenuta la presentazione del libro “Fantômas: un mito” di Franco Riccomini e della cartella “Omaggio al Fumetto Nero” di Giovanni Bruzzi, da sinistra, Claudio Carabba, critico cinematografico, storico del fumetto e presentatore in catalogo, Franco Riccomini, scrittore e critico d’arte, Giovanni Bruzzi (14 febbraio 1979).
COMIC-LEXICON:
IL METASIMBOLISMO DI BRUZZI Nel panorama della ricerca artistica fiorentina e
nazionale, Giovanni Bruzzi rappresenta indubbiamente un caso
piuttosto anomalo, per cui non sono rari i casi che ce l'hanno
fatto trovare in situazioni temporalmente "spiazzate"
rispetto a quanto gli accadeva d'intorno, rispetto all'ultimo
grido delle mode maggiormente propagandate dall'industria
culturale. Mentre egli, nella seconda metà degli anni cinquanta
e inizio degli anni sessanta esegue una serie di lavori (pensiamo
soprattutto ai suonatori) che per molti versi anticipano
tecniche e stilemi propri dell'Iperrealismo della prima metà
degli anni settanta, quando esploderà la moda iperrealista,
sposterà gli obiettivi della sua ricerca altrove, incurante dei
vantaggi anche commerciali che gli sarebbero potuti derivare da
tale fenomeno. Anche la serie delle Insegne, che pure
aveva delle precise motivazioni di tipo antropologico culturale,
ci sembra situarsi in maniera temporalmente "spiazzata"
rispetto alle ricerche logo-iconiche che da almeno un decennio
erano andate sviluppandosi nell'ambito delle arti visive
dell'area occidentale. Eppure tale serie presentava una notevole
originalità, , se non altro in quella volontà ostinata di
additare al pubblico dei fruitori l'importanza di un fenomeno
"linguistico" (logo-iconico, appunto, fatto cioè di
parole ed immagini) così tipico della nostra civiltà
contemporanea, partendo proprio dalla sua nascita preseriale,
dalla fattura artigianale di particolari annunci pubblicitari.
Temporalmente "spiazzate" possono sembrare anche le
ricerche relative al fumetto, di qualche anno fa. (Omaggio al
fumetto, 1974/76). Esse vengono dopo che una lunga schiera di
artisti illustri (da Schwitters a Lichtenstein, a Fahlström,
a Warhol, ecc.) aveva incentrato il proprio interesse su questo
particolare tipo di linguaggio (anch'esso logo-iconico), fino ad
allora considerato volgare (cioè destinato alle masse incolte).
Ma, anche in quest'occasione Bruzzi ha modo di far valere la
propria originalità rispetto alle ricerche precedenti, andando a
ripescare nella memoria (nel senso forse della narrative art)
personaggi e storie appartenenti al mondo della sua lontana
infanzia, ricontestualizzandoli in alcune tele i cui colori,
suddivisi geometricamente nello spazio, fanno loro acquistare
nuovi significati, portatori di nuovi messaggi a funzione
estetica. In questo itinerario, nel quale s'inseriscono ricerche
di altro tipo come quelle dedicate ai Cereus e alle Spugne,
ecc. c'è una costante che forse più d'ogni altro fattore ha
contribuito a tenere Bruzzi lontano dal clamore delle mode e lo
ha reso difficilmente assimilabile a questo o a quel movimento
artistico contemporaneo; una costante che caratterizza tutto il
suo lavoro: la convizione che ogni opera, anche se deve tendere
ad un rinnovamento continuo di forme atte ad interpretare la
realtà in costante evoluzione e le relative problematiche che da
essa scaturiscono, ogni opera, dicevamo, deve essere il frutto
dell'uso sapiente degli strumenti classici del pittore: tele,
tavolozza, pennello. E' la costante che ritroviamo in queste
ultime dodici opere dell'artista fiorentino, dove viene sì
ripreso il discorso sul fumetto, ma in maniera più cosciente e
sicura rispetto all'Omaggio, più penetrante e analitica,
se vogliamo. Prendendo lo spunto da alcuni personaggi, spesso
minori, di fumetti noti e meno noti Bruzzi compie un'operazione
apparentemente elementare: propone la riscrittura dei loro nomi (Andus,
Blot, Flash, Klage, Ming, Olrik, Rawak, Rebo, Virus, Vulter, Wolp,
Zarkow), usando per ognuno di essi "caratteri"
diversi, cosciente che a ogni tipo di carattere corrisponde un
significato implicito diverso; usando sempre
un'"impaginazione" diversa, cosciente che le differenti
utilizzazioni degli spazi producono a loro volta significati e
sensazioni diverse; usando colori diversi, cosciente che a ogni
colore corrisponde un simbolo, che ogni colore è capace di
veicolare un determinato messaggio, una data sensazione. E ciò,
secondo quanto afferma Umberto Eco a proposito dei codici iconici
in genere, i quali si affidano a un bagaglio di convenzioni e
classificazioni rintracciabili nella storia dell'arte o nella
psicologia, dove certe linee vengono ritenute
"graziose", altre "nervose", altre ancora
"svelte", oppure "pesanti", e dove certe
configurazioni geometriche di cui si avvalgono gli psicologi per
determinati test, comunicano precise tensioni e dinamismi
all'insieme. In questa operazione, che potremmo definire metasimbolica
per il fatto che Bruzzi usa il simbolo della scrittura per
rappresentare personaggi a loro volta simbolici, potrebbe essere
apparentato (se dimentichiamo la costante di cui parlavamo sopra)
a quella tendenza artistica che negli ultimissimi anni è stata
classificata sotto il nome di "Nuova scrittura" in cui,
come scrive Filiberto Menna, "Lo scollocamento tra
significante e significato, così come è attuato in questa
declinazione dell'arte ut scriptura, si presenta con
caratteri diversi, anzi opposti allo scollamento perseguito nelle
investigazioni concettuali; qui il divaricamento fra i due
termini è il risultato di una intenzione rigorosamente
analitica, di ordine semiotico, tendente ad affermare anche nel
campo dell'arte l'arbitrarietà e la convenzionalità dei segni,
sia verbali che iconici". E poco importa allora se,
osservando Virus, siamo portati a vedere nella tela una
rappresentazione "scritturale" che in maniera quasi
onomatopeica ci richiama alla mente il suo referente reale o
quello simbolico, così come non ha alcuna importanza se vediamo,
nella rappresentazione "scritturale" di Blot,
l'omino che "si muove leggero e silenzioso come un fantasma,
senza lasciare tracce del suo passaggio (Franciosi)"; non
importano queste cose perchè "la parola in arte - scriveva
Sklowskij - e la parola nella vita sono profondamente diverse;
nella vita, essa ha la funzione d'una pallina sul pallottoliere,
nell'arte è fattura; possiede una sonorità, deve essere
profferita e ascoltata intera". Nel nostro caso, essa deve
essere vista intera.
Egidio Mucci
(Presentazione mostre personali: "Galleria Linea
70", Verona 1978; "Galleria L'Indiano", Firenze
1978)
 Comic-lexicon: Wolp (1977, cm. 65x70, olio su tela).
 Comic-lexicon: Rebo (1977, cm. 50x70, olio su tela).
 Comic-Lexicon: Klage, (1977, cm. 70x90, olio su tela).
Comic-lexicon:Zarkow (1977, cm. 60X70, olio su tela).
 In occasione della mostra personale “Comic-Lexicon” di Giovanni Bruzzi alla “Galleria Linea 70” di Verona, si è tenuta una tavola rotonda sul tema “Arte e Scrittura”, da sinistra, Antonio Fallico, docente di letteratura italiana, Giancarlo Dello Russo, docente di filosofia, Franco Verdi, poeta, Egidio Mucci, critico d’arte e presentatore in catalogo, Giovanni Bruzzi (11 novembre 1978).
 In occasione della mostra personale “Il ciclo della scrittura” di Giovanni Bruzzi alla “Galleria L’Indiano” di Firenze, si è tenuto un dibattito sul tema “Arte e Scrittura”, da sinistra, Fernando Tempesti, critico d’arte, Eugenio Miccini, operatore visivo (14 dicembre 1978).
 Fernando Tempesti e Giovanni Bruzzi dibattono con il pubblico all'inaugurazione della mostra "Comic-lexicon" alla "Galleria L'Indiano" a Firenze nel 1977.
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