Pinocchio (1984, cm. 50x70, olio su tela).



Locandina.



Pinocchio, la Volpe e il Gatto al Teatro dei Burattini (1988, cm. 80x70, olio su tela).



Pinocchio (1992, cm. 40x90, olio su tela).



Pinocchio e il Feroce Saladino, (1990, cm. 70x90, olio su tela).



Pinocchio con la Volpe e il Gatto impagliati (1998, cm. 90x70, olio su tela).



Pinocchio e Geppetto (1998, cm. 60x80, olio su tela).



Pinocchio (1994, cm. 50x60, olio su tela).



Pinocchio e il Grillo-parlante, (1995, cm. 50x60, olio su tela).



Fata dai capelli turchini (2001, cm 50x80, olio su tela).

"MASCHERE E MARIONETTE"
DI BRUZZI

Diciamo subito che l'esercizio pittorico di Giovanni Bruzzi s'impone per una precisa volontà di rastremazione della realtà fisica, sociale e culturale, nei suoi aspetti più manifesti, di cui registra lucidamente i dati più minuti, non tanto sollecitato dall'idea di competere con le metodologie di ricerca legate alle tecniche più avanzate di riproduzione del reale, quanto dal bisogno di afferrare, per mezzo di questa personalissima estetica dello sguardo, ciò che si cela nel suo profondo o al di là di esso. Sono nati così (nell'ambito, cioè, di una ricognizione estremamente attenta, penetrante, e non priva di arguzia, dall'esistente) i suoi ben noti cicli a tema (dai Suonatori alle Insegne, dai Comic-lexicon ai Cereus, dai Cactus alle Spugne, dagli Animali ai Ciclopi a queste Maschere e Marionette), i quali, oltre a darci l'immagine di un artista dagli interessi poliedrici, ci rivelano anche come al pittore stia a cuore il desiderio di non farsi sorprendere dalle cose, ma di inseguirle, incalzarle nella loro, a volte, ingombrante presenza, lungo la traiettoria sociale ed esistenziale dell'uomo contemporaneo. Tutta l'esperienza bruzziana, infatti, così rigorosamente ordinata nelle sue scansioni stilistiche e tematiche, è stata sempre tesa ad emblematizzare la dinamica del rapporto tra l'uomo e l'ambiente, tra pittura e cultura. D'altra parte, non è possibile interpretare alcuna forma d'arte se non ritrovandone l'esatta combinazione culturale nello spessore storico in cui essa si radica: come si sà, è l'idea di cultura che può definirsi il Kunstwollen dell'artista, la sua più o meno scelta critica, che si esprime nel rifiuto di qualcosa e nell'accoglimento compiaciuto di qualcos'altro. Come è noto, il teatro, nella esigenza di riprodurre in qualche modo la realtà, le caratteristiche di un'epoca, il rapporto dell'individuo con il mondo e la società circostante, ha fatto ricorso, sin dalle sue prime esperienze, alla rappresentazione di tipi ricorrenti che fossero riconoscibili, a prima vista, attraverso la maschera, l'atteggiamento, il costume. Ci sono stati momenti in cui le condizioni particolari della società, delle situazioni economiche, politiche, culturali, consigliarono l'uso frequente sulla scena di personaggi fortemente caratterizzati, attraverso cui riprodurre, in termini stilizzati, la realtà, senza incorrere in quei peccati di espressione che avrebbero potuto tradursi in rischi eccessivi. Lo stesso discorso vale per le marionette, le cui possibilità espressive sono state esaltate da artisti e scrittori di grande prestigio, alcuni dei quali ne hanno teorizzato l'impiego in una sorta di drammaturgia antinaturalistica. Craig e Baty, ad esempio, sostennero addirittura la superiorità delle marionette rispetto all'attore, ed al suo ruolo, nell'ambito dello sperimentalismo, per tacere di Kleist il quale, prima di loro, aveva elevato un inno alla magia liberante del fantoccio interprete. Ebbene, il modo con cui la pittura di Bruzzi si appropria delle figure della maschera e della marionetta può sembrare, di primo acchito, puramente mimetico. In realtà, il suo modo di operare possiede un alto grado di memorabilità individuale (e dunque di allusività) che si configura come desiderio di risvegliare una vibrazione all'unisono tra la memoria dell'artista e quella del suo lettore, in rapporto ad una situazione tropica cara ad entrambi. Ma c'è di più. L'allusività non si esaurisce in se stessa, ma tende a mediare una connessione emulativa nei riguardi della "tradizione" evocata, di cui mira a circoscrivere certi spazi che abbiano in sè il carattere del definitivo, del canonico, del citabile, partecipando, in questo modo, a quella modalità dell'arte che fa affidamento sulla "complicità" del lettore, nei termini di un coinvolgimento, che è soprattutto consapevolezza dello scarto esistente fra discorso pittorico, nella sua immediatezza diretta, e l'immagine che il lettore deve saper percepire al di là di esso. Funzionalmente connesso ad una tale modalità artistica è la maniera con cui Bruzzi affronta l'oggetto della sua esperienza di lavoro, prendendolo di mira così come esso si offre per se stesso, sciolto cioè da ogni contesto: trattato, insomma, in modo asintattico: e ciò allo scopo di effettuarne un prelievo tanto più lucido e rigoroso quanto più svincolato da possibili distrazioni e dispersioni, apparentemente "sospeso" da ogni finalità pratica. In realtà, il modo di operare del pittore non strania mai l'oggetto dalla rete dei suoi scopi normali (etici e persino didattici); anzi lo potenzia, assumendo nei suoi confronti un atteggiamento percettivo e nello stesso tempo ironico e divertito. Con ciò Bruzzi dimostra di avere un enorme interesse per lo stile, cioè per il rapporto tra problema pittorico e la realtà. Attuando il modulo dell'ironia, in ordine ad una rivisitazione della "tradizione" - che avrebbe tutte le carte in regola per passare come tentazione post-moderna se il termine non fosse in odore di sospetto in una temperie come quella odierna in cui la cultura e mercificazione si scambiano volentieri le parti - la sua esperienza pittorica acquista la possibilità di demistificare la cosmesi sempre presente nelle cose, nei termini di una "concretezza" della visione che supera l'esteriorità della realtà e delle situazioni per rimandare sempre ad un altrove. La sua impeccabile figuratività, caratterizzata da forme precise (alla Herbin, per intenderci), si colloca sicuramente nell'ambito di una vocazione al "realismo" stilizzato, che ha in sè costantemente una tensione all'irreale se non al surreale, e nel quale, al di là della contingenza tematica e dell'aneddoto, è il ritmo delle forme, e l'éclat del colore, ad assumere sempre una connotazione determinante.

Pietro Civitareale
(Presentazione mostra personale "Forte di Francesco di Giorgio Martini", San Leo 1985)

Manichino e Pinocchio,(2005, cm.60x80, olio su tela).