Locandina.

LE INSEGNE DELLE BOTTEGHE

Pervenute a noi attraverso il significato di comunicazione e di sollecitazione dei sensi, non meno che di concentrazione simbolica, che fu affidato dal mondo medioevale all'immagine, le vecchie insegne rappresentano un aspetto non secondario del persistere nei secoli dell'importanza simbolica del colore, dell'emblema e della rappresentazione in figura. Sebbene si debba pensare che hanno i giorni contati, il loro potere suggestivo risponde a esigenze tutt'altro che spente in un mondo che crede alla pubblicità basata sulle sigle e sui numeri che si vorrebbero gabellare come i dati di referenza dell'èra del computer e della scienza, ma che, al contrario, si usano furbescamente per agire sul pubblico con una forza di suggestione che non si differenzia, nella sua parziale o completa oscurità, dalle formule magiche dello stregone. Quando le insegne sono realistiche e aderenti al genere di merce e di servizio che vi si offre, esse soddisfano alle esigenze più elementari e basilari di tradurre in figura un concetto, nello spirito che ha creato nei secoli le immagini come equivalenti delle metafore. Colpendo i sensi e particolarmente la vista, si raggiunge lo scopo di rendere più evidente tale concetto, e non c'è da meravigliarsi che ciò fosse ben chiaro in età di sensi desti e esigenti come il Medio Evo e il periodo che avrebbe culminato nel concettismo seicentesco. L'accoppiamento dell'immagine e dell'iscrizione soddisfa perfettamente nelle insegne ai requisiti che, tra il '500 e il '600, in una di quelle epoche che il Praz ha definito <<età emblematiche>>, si richiesero alle <<imprese>>. Ed è proprio al complesso significato delle <<imprese>> e degli <<emblemata>> (per usare la definizione dell'Alciati) che dovremo richiamarci per intendere anche la loro efficacia. Più sovente esse non hanno riferimenti logici allo scopo a cui servono, e questa è senza dubbio la categoria più vasta. Evocando qualche cosa di indistinto o per associazione di idee, e che ciascuno poteva interpretare a suo modo sconfinando nell'esotismo e nel peregrino, o riferendosi a episodi di cui non si aveva più memoria precisa e che perciò assumevano una dimensione favolosa (chi non ricorda l'osteria romana dell'Orso dove alloggiò Montaigne?), si creava una buona disposizione, una preparazione e una promessa dilettosa, uno stimolo emotivo. Si dovrà insistere sul fatto significativo che le insegne ebbero nuova fortuna e una nuova stagione di grazia con Simbolismo e con l'Art Nouveau? Non credo, dato che è ben noto che anche queste furono <<età emblematiche>> e che lo spostamento dall'<<illustrazione>> alla <<decorazione>>, dal contenuto all'immagine fu il punto di forza sul quale fu fatta leva per distruggere in modo radicale il descrittivismo e lo psicologismo dell'Ottocento. Ed è noto altresì che l'estensione di questi movimenti attribuì un'importanza di primo piano alle cosiddette arti minori e alla decorazione. La fortuna e gli spesso felici risultati della formula delle insegne - che in quegli anni furono strettamente legate alle sorti della grafica e del manifesto - venne anche dall'alleanza che le arti avevano stretto con la rivoluzione industriale e con il nuovo spirito commerciale e consumistico. Ragioni storiche chiaramente individuabili spiegano l'estesa sopravvivenza in Francia delle insegne, in una dimensione fantastica e inventiva che spesso tocca l'umoristico involontario, e che non manca di sorprendere il viaggiatore moderno. La durata dell'età gotica, la passione per il simbolismo, che si orienterà verso le imprese che i francesi trasmisero all'Italia agli inizi del Cinquecento sono fatti remoti, ma che tuttavia possono avere qualche peso per spiegare questo fenomeno marginale, ma non irrilevante del costume francese. E qualcuno potrebbe osservare che la più vasta affermazione della pubblicità visiva per i beni di consumo si verificò in Francia nella seconda metà dell'Ottocento. Queste considerazioni mi venivano suggerite, alcuni giorni fa, da una visita allo studio di Giovanni Bruzzi, dov'era disposta come meglio si poteva la serie di questi dipinti. Il pittore ha tratto ispirazione da esempi significativi di insegne che rientrano nelle categorie cui si è accennato e le ha trascritte con una pulizia artigianale che non è l'ultimo dei suoi pregi. Non gli è sfuggito questo aspetto pittoresco, destinato a sparire, delle vecchie città italiane e francesi (e la proporzione con cui le insegne francesi prevalgono sulle nostrane conferma le nostre osservazioni). Perchè Bruzzi ha voluto fermare il ricordo di queste immagini che in prevalenza rimandano a un passato che a un uomo della sua generazione non può ricordare nemmeno il mondo amato-detestato dell'infanzia? La risposta è nei dipinti, dove egli ha indicato l'importanza del valore figurale che immagini e scritte assumono alla pari, mentre l'accensione dei toni puri ci fa intendere quale potere di suggestione abbia avuto su un artista di oggi il messaggio anonimo di questi manufatti dove invenzione e utilità si saldano a vicenda.

Mina Gregori
(Presentazione mostre personali: "Galleria Il Fiorino", Firenze 1973; "Galleria Seno", Milano 1974; "Galleria Molino, Roma 1974)

LE INSEGNE. IMMAGINI PER L'ALBUM DEI RICORDI

Caro Bruzzi, Lei mi chiede un parere <<tecnico>> sulla sua pittura e, in particolare, su queste <<insegne>> la cui serie è andato volgendo in immagini pittoriche in questi ultimi anni. Le devo subito premettere che non posso in alcun modo scirverLe una presentazione critica, genere, per fortuna nostra, in netto declino e che comunque, da almeno un quinquennio ho senza eccezioni e pubblicamente respinto e per la presuntuosa superficialità verbosa di cui - quando non attinga alle rare qualità del <<saggio>> - per lo più s'ammanta, sia per quel tanto frequente e corrivo incensare il <<cliente>> che gli conferisce tanto ambigui aromi. Premessa la qual posizione di principio, posso anche scriverLe qualche mia impressione personale che ha poco da spartire coi verbali dell'<<impegno>> critico. Questa sua <<serie>>, dove rivela una felice disposizione araldica a ordinare un quadro, mi conferma infatti in una mia vecchia e radicata convinzione che cioè l'artista d'oggi avverta - magari a livello d'inconscio - un'acuta nostalgìa (e una conseguente necessità) per una tematica ben precisa, che dico, utile, per ritrovare di colpo la motivazione stessa del suo operare, al di là dei giochi del mercato e cioè, quindi, la prova di una sua verità pittorica, il ritorno ad un soggetto, ad un modello, ad una misura che gli si offrano di per sè, pretesti per variazioni ad josa, campi per quelle fioriture improvvise, irrazionali impropriamente dette poetiche che un artigiano si trovava bell'e cresciute nel suo orto l'indomani della conclusione della sua lunga, amorosa fatica. Si vuol dire insomma che si può trovare il quadro proprio quando non lo si cerca spremendo disperatamente le meningi e che un pittore, quando non si proponga di essere un artista, finisce proprio spesso col diventarlo... Il che non significa certo rispolverare l'oziosa e ormai astorica polemica tra astratti e figurativi ormai improponibile se non nei compromessi di certe grandi mostre ufficiali; si dovrebbe dire quadro e quadro del proprio tempo soltanto chè gli altri illustrano altri mondi ormai irrimediabilmente di fiaba. Da quanto ho detto discende anche un suggerimento che - se mi riesce - vorrei darLe senza assumere alcuna intonazione ex cathedra: cerchi altre occasioni come questa delle <<insegne>>, altri pretesti per meditare e far meditare sul tempo, sui silenzi dechirichiani delle cose una volta che le si siano avulse dal loro contesto ambientale; che aiutino a lasciar ricordi con tanto di commento (come son pure i suoi più riusciti quadri) di certe cose e di certi frammenti di vita, rimpianti e ironìe, contemplazioni e farneticazioni fantastiche e quante altre salse vorrà aggiungervi. Quanto poi al fatto dell'insegna in sé, al suo sapore e significato storico non mi resta proprio nulla da aggiungere all'esemplare scritto di Mina Gregori che Lei mi ha inviato per conoscenza unitamente alla sua gentile richiesta. Per cui La ringrazio, con simpatia, suo

Giorgio Mascherpa
(Presentazione mostre personali: "Galleria Il Fiorino", Firenze 1973; "Galleria Seno", Milano 1974; "Galleria Molino", Roma 1974)


Vecchia insegna di Parigi: Homard a la Crème (1972, cm. 55x70, olio su tela).



Vecchia insegna di Parigi: Au Diable Jaune (1973, cm. 65x50, olio su tela).



Vecchia insegna di Roma: Antico Caffè del Moro (1973, cm. 80x60, olio su tela).

A PROPOSITO DELLE 
"VECCHIE INSEGNE"

Fino dal 1964 avevo dato molta importanza alla caratterizzazione dei negozi e dei locali di Parigi, attraverso il decoro originale e fantasioso delle loro insegne. Questa attenzione mi porterà nel 1971 e nel 1972 a trascorrere un periodo di tempo nella capitale francese per disegnare dal vero un certo numero di vecchie insegne su di un album, prima che il vento della novità ad ogni costo le cancellasse per sempre. Questa sensazione la avevo avvertita durante la indiscriminata distruzione di tutti i padiglioni delle mitiche Halles (il mercato generale, una volta denominato il "ventre di Parigi") per fare posto al poco suggestivo Forum. Ritornato poi a Firenze ho trasformato in dipinti autonomi questi appunti delle insegne, approntando per ciascuna di esse l'inquadratura più consona. Il gruppo di queste opere, in tutto quindici dipinti su tela (Black Hawk, Gargamelle, Le Mas de la Chévre d'Or, Hotel, Le Caméléon, Le Chat qui pêche, Restaurant Saigon, Le Sergent, Au Nègre Joyeux, Le Clos des Bernardins, Les Femmes Savantes, Musique, Cuisine Crêtoise, Au Diable Jaune, Homard a la Crème), aggiunto ad altri sette quadri dedicati alle consorelle italiane, ha formato il totale del ciclo delle "Vecchie insegne" che è stato esposto a Firenze ("Galleria Il Fiorino"), a Milano ("Galleria Seno") e a Roma ("Galleria Molino") accompagnato da un catalogo con le prestigiose presentazioni di Mina Gregori (Le insegne delle botteghe) e di Giorgio Mascherpa (Le insegne-Immagini per l'album dei ricordi).Qui di seguito, voglio riproporre il caso emblematico di un locale sopravvissuto alla demolizione, ma irrimediabilmente oltraggiato nella decorazione e nell'attività, Le Caméléon, da me inserito nel ciclo delle "Vecchie insegne". Già nel 1964 avevo realizzato dal vero un disegno a china ed acquerello (seduto su di una cassetta di frutta dall'altro lato della strada) di questo "bar con musica jazz" ubicato in Rue Saint'André des Arts, nel Quartiere Latino; nel 1971, dando massima importanza al bellissimo alfabeto della scritta, ne feci appunto una delle "Vecchie insegne". Fino a quel tempo nella sua ampia cantina, si poteva ascoltare della ottima musica jazz con musicisti americani e francesi, io qui voglio ricordare il bravo batterista italiano Franco Manzecchi che vi ha suonato per tanti anni. Propongo poi, per totale chiarezza visiva, una foto del medesimo locale da me scattata nell'ottobre del 1997 dove il completo degrado è evidentissimo: vi si legge ancora a fatica Le Camèlèon (ma che differenza con la precedente scritta!) ed è rimasto il bar (squallido e, ben inteso, senza musica jazz!). Questa inequivocabile testimonianza avvalla tutto il mio lavoro del ciclo delle "Vecchie insegne" che, attraverso la mediazione artistica della pittura, tramanda visivamente per sempre un aspetto caratteristico di Parigi (e dell'Italia) che non esiste più. D'altronde come è già successo in Italia per le così dette città d'arte (Roma, Firenze, Venezia), anche Parigi, ormai assalita e travolta da un super-turismo-usa-e-egetta, è destinata a diventare una gigantesca pattumiera, da dove i veri artisti sono già scappati via da molto tempo.

Giovanni Bruzzi


Giovanni Bruzzi, con la moglie Paola, sul Pont de l'Archevêché a Parigi nel 1972, durante il periodo della ricerca delle "Vecchie Insegne".



Vecchia insegna di Parigi: Le Caméléon (1964, cm. 32x42, china e acquerello su carta).